Una ricerca pubblicata su proceedings of Royal Society B. (Biology) condotta dai ricercatori della Northeastern University di Boston e diretti da Rory Smead mira a capire come si è evoluto il fair play, se giocare pulito sia effettivamente solo correttezza verso gli altri o ci sia anche un interesse personale nascosto dietro.
Dal punto di vista evoluzionistico non si capisce come siano sopravvissuti i comportamenti maligni, quelli cioè di chi fa del male senza guadagnarci niente, per cercare di spiegare la cosa i ricercatori hanno utilizzato la teoria matematica dei giochi, in particolare la cosiddetta teoria del gioco dell'ultimatum.
Nel modello più semplice ci sono due giocatori contrapposti, uno che propone e l'altro che può accettare o rifiutare l'offerta, quando il proponente divide a metà si parla di gioco equo.
Seguendo questo modello si è visto che chi si comporta equamente è meno soggetto a dispetti e cattiverie da parte degli altri giocatori, in altre parole i giocatori equi riusciranno a sopravvivere.
La criticità messa in evidenza dallo studio però è che mentre evolve l'equità, contemporaneamente anche i dispetti lo fanno, favorendo sì una società più giusta, ma anche la nascita di pericolosi comportamenti antisociali.
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